Museo in Valigia: Monte San Giorgio

Capitolo 4: Letteratura sul Monte San Giorgio

a. Riva San Vitale di Gian Battista Angioletti

L’autore: Milano27 novembre 1896 – Santa Maria la Bruna3 agosto 1961, giornalista e scrittore italiano.

La biografia: Enciclopedia Treccani, OlteconfiniTi, Dizionario storico della Svizzera

Da sapere sull’autore:

  • Dal 1940 al 1945 direttore del Circolo di lettura a Lugano
  • L’Archivio Prezzolini (Lugano, Biblioteca cantonale) conserva il Fondo Gian Battista Angioletti

Il libro: Ticino. Quaderno ticinese, Lugano, Collana di Lugano 1944; riedizione Lugano, Giampiero Casagrande editore, 1984

Il tema: Il territorio letto poeticamente, come ricordo autobiografico

La lettura: Riva San Vitale

Approdammo a Riva San Vitale come a un vasto umido prato dove moriva quietamente il lago. Lasciato il canotto in una esigua darsena, ci inoltrammo per un sentiero fra l’erba e entrammo nella casa del nostro amico, che pareva vuota e abbandonata. Ma subito ci sentimmo nel vivo del paese vero. Dalle finestre che l’amico spalancava di stanza in stanza, rivedemmo il lago ampio e celeste davanti a noi, una robusta e cupa collina boscosa da un lato, le rocce rosate e taglienti del Generoso dall’altro; e poi, verso la borgata, le strade, le case, i tetti semplici e onesti, i campi sfumati all’orizzonte, il cielo bianco all’occidente. Ritrovammo così il senso di una vita libera, che si svolgeva secondo le antiche norme, e non ostentava le sue grazie, non seduceva sfrontatamente nessuno.

Quando scendemmo, il paese mantenne tutte le sue promesse. Adagiato in una piana (dolcezza delle pianure, mia continua memoria…), non aveva approfittato dei suoi sfondi d’acque e di monti per farsene cornice, per far meglio risaltare la propria bellezza; ma a quegli sfondi lasciava tutta la loro potenza, la necessaria solitudine, li contemplava con devozione, non se ne serviva per essere contemplato. Conosceva le leggi misteriose delle prospettive, esprimeva un delicato fascino poetico da quella sua stessa umiltà. L’accento lirico, quasi inavvertibile ma costante, era tutto nelle sue strade chiare e pulite, nei suoi campi fragranti; e perfino nella apparente noncuranza con la quale custodiva il suo segreto, il Battistero. Gli aveva lasciato accanto le case modeste, tra il bianco e il grigio, così come a un venerabile vecchio si lascia, perché si conforti la compagnia dei nipoti. Nell’interno, fra le corrosioni delle pietre e dell’intonaco, si svelava una poesia ancor più casta, la vasca battesimale, così ampia e rude, riportava la mente a tempi favolosi e pii, ci lasciava stranamente incantati come se ancora dovesse compiersi un rito, e come se i perplessi, dubitosi fantasmi di antichissimi contadini e pastori si aggirassero fra i sacerdoti che prendevano a purificare la loro anima con persuasiva violenza; sacerdoti dei quali il canonico che ci accompagnava pareva serbare la tradizione e la felice energia.
Paese antico che prende animo dalle presenze che lo circondano, dalla loro dolcezza e forza, dalla loro castità e malinconia. Un paese dove un pomeriggio approdammo, che lasciammo al tramonto in una luce immacolata, mentre gli operai rientravano in bicicletta, leggeri, dalla strada di Capolago, e le donne cantavano invisibili nelle stanze; e che noi, dopo aver sostato sotto i castagni a bere un vino infuocato color di miele, salutammo un’ultima volta al girare di un promontorio, e riscoprimmo appena sollevato sull’acqua come per un familiare, affettuoso miraggio.

L’approfondimento:

  • Il saggio del filologo e critico letterario Gianfranco Contini: G.B. Angioletti, o della grammatica sentimentale.
  • La gita a Chiasso, Romanischesseminar UZH, Università di Zurigo, voce Angioletti

b. Serpiano di Alberto Nessi

L’autore: Mendrisio, 19 novembre 1940, docente e scrittore.

La biografia: Archivio svizzero di letteratura; OltreconfiniTi

Da sapere sull’autore:

  • Nel 2016 è stato insignito del Gran Premio svizzero di letteratura.
  • Le sue carte (documenti, libri, lettere, saggistica, video, dal 1961 al 2021) sono conservate a Berna presso l’Archivio svizzero di letteratura- fondo Nessi.

Il libro: La seconda bellezza. Poesie vegetali, Novara, Interlinea, 2022

Il tema: La natura salva l’umanità e dà un senso di pace, anche nel ricordo della morte

La lettura: La rosa del Serpiano

La rosa del Serpiano

a Antonio

La rosa bianca che porge quel bambino

sulla strada per il Serpiano

ha un profumo che non viene mai meno

sui colli delle conchiglie incantate.

C`è qualcosa di eterno in quella rosa

che s’apre e vince il male della storia

-– gambe spezzate, laringi bruciate

carni divorate, veleni nell’aria –

lei profuma per sempre, sorella

di purezza. Potesse salvare

noi e le nostre parole, come salva

il ragazzo precipitato nella cascata. In pace

ci guarda nel pomeriggio

sotto la mandorla della Madonna lariana.

L’approfondimento:

  • Flavio Medici, La poesia di Alberto Nessi. Appunti su un percorso di lettura, “Il Cantonetto”, 2023.
  • Recensione del volume di poesie, a cura di Ariele Morinini, in “Viceversaletteratura”, 2023.

Fonoteca nazionale svizzera: La lettratura come una stretta di mano

c. Umili terre di Piero Chiara

L’autore: Pierino Angelo Carmelo Chiara, detto Piero (Luino23 marzo 1913 – Varese31 dicembre 1986, scrittore e saggista italiano.

La biografia:Enciclopedia Treccani; Premio Chiara festival del racconto; Wikipedia

Da sapere sull’autore:

  • Piero Chiara approda in Svizzera come esule nel gennaio del 1944, fuggito da Varese alla notizia di un mandato di cattura emesso dal Tribunale provinciale. Le prose di Itinerario svizzero, scritte tra il 1946 e il 1948, vennero pubblicate nel 1950 per le Edizioni del Giornale del Popolo di Lugano.
  • Libri, documenti e lettere dello scrittore sono conservati presso Villa Mirabello a Varese, www.lombardiabeniculturali.it

Il libro: Itinerario svizzero, Lugano, Gianpiero Casagrande, 1995 

Il tema: Un itinerario della memoria: il Mendrisiotto come terra di accoglienza e di speranza per chi è scappato dalla propria terra

La lettura: Umili terre

Quanta gente entra in Svizzera da Chiasso in automobile o in treno e aspetta a guardarsi in giro quando appare il lago, o quando vi è in mezzo, dal ponte di Melide.

Pare la Svizzera cominci a questo aprirsi dei monti, appena spunta Lugano nel semicerchio del golfo e l’occhio già fugge verso Gandria, ai picchi e alle rive del “piccolo mondo antico”, oggi due volte antico.

Pochi di quelli che entrano da Chiasso osservano il primo tratto a destra della loro strada, e trascurano senza riguardo alcune terre che sembrano soffrire di tanta indifferenza e ritrarsi ai loro monti, alle loro valli, quasi in altro tempo.

Sono le umili terre di Sagno, Obino, Castel San Pietro, Loverciano, Salorino e poche altre.

(…)

Loverciano spinge sul taglio del colle una grande villa di aspetto conventuale le cui finestre spaziano per tutta la valle e sembrano alzate  guardare oltre il confine, verso l’Italia. È la villa che un prelato d’altri tempi legò agli orfani con la tenuta che la circonda.

Da quelle finestre tanto alte sulla valle e avventurate così lontano, guardarono per due anni, impazienti, inquieti o mesti, molti rifugiati politici dell’ultima guerra.

(…)

La grazia che l’autunno raggiunge in quella terra non fu mai tanto preziosa come allora. Sembrava affacciarsi più pallido dagli orti il crisantemo, più libero ergersi il pino, e i sentieri che diramavano dalle strade parevano sempre salire a un dolce colle, a una siepe che nascondeva il balzo del mondo e non lasciava ai pensieri altra rotta che il cielo intenso e lucido d’aria ottombrina. (…)

L’approfondimento: Federico Roncoroni, Un itinerario dell’anima, in “Itinerario svizzero”

Documenti video e sonori

  • Archivi RSI, Luino di Pietro Chiara
  • Archivi RSI, Pietro Chiara scrittore di confine

d. Il monte San Giorgio e la leggenda del Beato Manfredo

Fonti: Autori vari, leggenda raccolta da Giuseppe Ghielmetti

Il protagonista:

ll Beato Manfredo apparteneva all’antica famiglia Milanese dei Settala. In età avanzata lasciò la cura pastorale e si ritirò in vita ascetica sul monte San Giorgio. Attratti dalla fama della sua santità, i fedeli accorrevano a lui per consigli e intercessioni. Morì il 27 gennaio 1217 e il suo corpo fu trasportato nella chiesa di Riva San Vitale allora diocesi di Como, dove tuttora è custodito in un’urna posta sotto l’altare maggiore.

La sagra:

  • Una effigie del Beato si trova nel Battistero di Riva. A lui sono attribuite diverse grazie, di cui sono testimoni gli ex voto appesi in chiesa. Si attribuisce al Beato il miracolo di aver trasformato le pietre in pane durante un periodo di carestia. In memoria di quell’episodio, la tradizione vuole che ogni anno sia distribuito tra gli abitanti del borgo il pane benedetto. La sagra si svolge a Riva San Vitale l’ultima domenica di gennaio.

Da sapere:

  • La leggenda della morte e della sepoltura del Beato ha anche una versione in versi latini, citata da V. Bernasconi, Il beato Manfredo dei Conti Settala, Como, Società editrice Roma, 1908. Versioni simili a quella qui riprodotta si trovano in Giuseppe Zoppi, Leggende del Ticino, Torino, Sei, 1951 e in Franco Macchi, Riva San Vitale, Edizione del comune di Riva San Vitale, 1989.
  • La figura del beato Manfredo Settala è citata anche nella leggenda “Ul magu da Cantun”.

Il libro: Il meraviglioso. Leggende, fiabe e favole ticinesi, a cura di Domenico Bonini, Sandro Bottani, Amleto Pedroli. Roberto Ritter, Franco Zambelloni, Locarno, Dadò 1992. Volume III Sponde del Ceresio e Mendrisiotto

Il tema: La montagna favorisce l’incontro con il divino e crea un senso di comunità fra la gente

La lettura: Leggenda del Beato Manfredo

Dietro l’intrico di rami denudati dall’inverno, c’è il verde del Monte San Giorgio, dominante le case di Riva San Vitale. Fu lassù, sulla cima della montagna, che accadde il prodigio del beato Manfredo.

Veniva da lontano, da molto lontano, e andò a vivere in una grotta del monte solitario da cui si gode un panorama stupendo. Viveva di bacche e dei pochi frutti offertigli dai rami flessuosi degli alberi; beveva l’acqua pura della sorgente. E operava – dicevano – ogni sorta di miracoli.

La fama del sant’uomo si era sparsa in un battibaleno: da Riva e da Meride, da Tremona e da Brusino, da Morcote e da Mendrisio salivano a lui, con l’anima ardente di spernza e di fede, i terrazzani colpiti dai morbi inguaribili, i poveri perseguitati dalla prepotenza dei padroni, gli infelici e i miseri colpiti da ogni sorta di sventure. E lui, frate Manfredo, aveva per tutti una parola di conforto, un sorriso, una benedizione.

Ed ecco che una mattina di primavera accadde uno straordinario fenomeno: le campane di tutti i borghi dei dintorni presero a suonare senza che alcuno ne toccasse le corde. Dai monti e dal piano si sparse per l’aria un grave suono che empiva la terra e il cielo. La gente si fece alle finestre: si scambiavano domande, si intrecciavano i commenti. Poi qualcuno capì: qualcosa doveva essere accaduto al frate Manfredo. Allora fu tutto un correre verso la montagna, fu come se un ordine sceso dal cielo incitasse a salire lassù, alla grotta del San Giorgio. E una turba di popolo ascese al monte, giunse là dove un raggio rosso di sole incendiava l’ingresso della caverna.

Manfredo giaceva sull’erba, e sul suo viso c’era un sorriso celestiale, come se dormisse, sognando le gioie ineffabili del paradiso. Caddero tutti in ginocchio, pregando. Poi si parlò di portare a valle il corpo del frate per dargli una degna sepoltura. E qui cominciarono le discussioni. Ogni paese voleva l’onore di ospitare quei resti venerabili. A lungo gli uomini disputarono senza giungere ad un accordo, finché qualcuno lanciò una proposta: si metta il corpo di Manfredo su un carro e si lasci che i buoi prendano la direzione che preferiscono. Così fu fatto: e il carro scese senza esitazioni verso Riva San Vitale. E le campane di Riva San Vitale, quando già tutte le altre si erano azzittite, continuarono a suonare. E il loro suono si era fatto gioioso come quando una grande festa si prepara e tutti devono essere lieti, dimenticando le tristezze e i dolori di sempre. I giovenchi candidi che trainavano il carro andarono maestosamente a fermarsi davanti alla chiesa collegiata: le spoglie di Manfredo furono portate nel tempio dove ricevettero solenni onoranze funebri. Da allora – da quel lontano 1217 – lo spirito del beato Manfredo aleggia du questa terra di monti e di acque, sempre vivo e presente nel cuore dei terrazzani, come una bella poetica favola da non dimenticare.

Documenti video e sonori:

  • RSI Le leggende ticinesi
  • RSI La nostra storia – archivio della memoria- Riva San Vitale
  • RSI La nostra storia, Riva San Vitale, il beato manfredo Settala. Il filmato proposto si riferisce al trasporto per le vie del Borgo nel 1967, per la ricorrenza del 750° del suo transito. Nel 2017 si è ricordato l’ottocentesimo anniversario con manifestazioni, a Riva San Vitale, Brusino Arsizio, Meride.

e. Meride, il Monte San Giorgio e il mago di Cantone

Fonti: Autori vari, leggenda

Il protagonista:

In località Cantone, tra Riva San Vitale e Rancate, c’è un antico edificio abitato da un nobile venuto da Vimercate, il conte Francesco Secco Borella, bandito dallo stato di Milano per omicidio. Figlio del conte fu Antonio Francesco, frate cistercense, morto di morte violenta a 26 anni nel 1623, trasformato dalla leggenda in un personaggio mostruoso col nome di mago di Cantone.

Da sapere:

  • Dalla leggenda prende spunto il romanzo di Carlo Silini, Il ladro di ragazze, Mendrisio, Capelli, 2015
  • Agata Galfetti ha pubblicato un libro per l’infanzia, La vera storia del mago di Cantone, Fontana edizioni, 2022, illustrato da Rosy Gadda Conti
  • Franco Macchi, Riva San Vitale, edizione del comune di Riva San Vitale, 1989 riproduce parzialmente un poema in ottava rima dedicato alla figura del Mago.

Il libro: Il meraviglioso. Leggende, fiabe e favole ticinesi, a cura di Domenico Bonini, Sandro Bottani, Amleto Pedroli. Roberto Ritter, Franco Zambelloni, Locarno, Dadò 1992. Volume III Sponde del Ceresio e Mendrisiotto

Il tema: La montagna custode di fosche immagini.

La lettura: Ul magu da Cantun

Si narra dunque che gli abitanti di Meride nutrissero gran devozione verso il Beato Manfredo Settala, che conduceva vita eremitica e penitente sul Monte S. Giorgio, e a lui ricorressero in tutte le necessità. Ma alle falde dello stesso monte, nella frazione “Cantun” in una lunga e ampia caverna, degno ricettacolo di pipistrelli, abitava il “Magu”, terrore di Meride e dei paesi vicini, che, a capo di una banda di masnadieri, rapiva le donne, assassinava i viandandi e li derubava. All’entrata delle grotta si osservano due nicchie scavate nel vivo sasso, nelle quali, dice pure la leggenda, due enormi leoni  – o forse due feroci mastini –  facevano da guardia a quella tetra abitazione. Or avvenne che gli abitanti di Meride traviarono dai loro semplici costumi, e, sordi ai consigli del Beato Manfredo, si diedero a goder la vita. Mentre il santo Eremita vegliava nella penitenza e nella preghiera, nel loro paese rozzi strumenti invitavano la popolazione alle danze. Ma la mano di Dio non tardò ad appesantirsi su di loro. Una sera, un uomo, che nessuno ricordava di aver veduto, entrò nella sala e prese parte alle danze. Ma quando più esse fervevano, eccolo allontanarsi rapidamente, seco trascinando la fanciulla con cui ballava, di nome Teodolinda.

Costernati dalla mossa improvvisa, i Meridiensi, compresero allora chi fosse lo sconosciuto, ma lo spavento li impietriva, né alcuno aveva il coraggio di seguirlo attraverso le fitte foreste per cui si era inoltrato. In quel tragico fatto riconobbero la giusta punizione del Signore, e piansero amaramente i loro peccati; intanto, che fare per liberare la disgraziata fanciulla? Tutta la loro speranza era riposta nel Santo Eremita del Monte S. Giorgio! In abiti dimessi, a piedi scalzi, col dolore e lo sgomento dipinti sul volto, salirono il monte, si gettarono ai piedi dell’Eremita, e gli narrarono piangendo l’accaduto. Quegli allora, alzando le braccia al Cielo, stette qualche momento in orazione, poi disse agli astanti:

“Se Teodolonda vive, è salva, ma se è già caduta sotto il pugnale del Magu non ci rimane altro che implorare la misericordia di Dio su di lei e su di noi. Intanto pregate e fate penitenza”.

Il presentimento che qualche cosa di straordinario stesse per avvenire entrò nel cuore di tutti: tanto era grande la loro fiducia nel Santo Eremia.

Egli si accompagnò con loro, e insieme si avviarono alla volta della grotta. Il sentiero che li conduceva era quasi impraticabile, perché nessuno osava mai avventurarsi in quei dintorni.

Quando giunsero in vista della grotta famigerata, l’Eremita fece fermare quei che l’avevano seguito, mentr’egli, avanzandosi di qualche passo, gridò ad alata voce:

“Teodolinda, dove sei?”

“Sono nella grotta” rispose una voce flebile di donna.

“Esci di lì!” intimò l’Eremita.

“Non posso; se mi muovo, due leoni mi sbraneranno”.

“Esci!” tuonò l’Eremita. “I due leoni sono addormentati”.

Fu visto allora, con immenso giubilo di tutti, l’Eremita ritornare con la giovine, miracolosamente strappata a morte certa e crudele.

“Appena fui rapita dal Mago, che fin allora mi era sconosciuto”, narrò di poi Teodolinda, “egli mi trasportò attraverso selve paurose sino ad un cancello di ferro, al di là del quale si apriva un antro orribile. Mi gettò dentro e se ne andò, dopo aver chiuso il cancello, lasciando a custodirmi due enormi leoni. Io non so quanto tempo vi rimasi, tanto ero atterrita; ma a un tratto una mano invisibile mi trasse di là, e io passai in mezzo ai due leoni, senza ch’essi mi vedessero”.

Si racconta che infine il “Magu” sia stato ucciso da un coraggioso ad esperto cacciatore, e nella caverna, ove dimorava, si siano rinvenute ossa umane, scuri ed uncini.

In un affresco esistente nella chiesa parrochiale di Riva San Vitale (a destra di chi entra dalla porta maggiore), è figurata una giovane donna in pianto, e vuolsi che sia Teodolinda

Documenti video e sonori:

  • RSI Le leggende ticinesi
  • RSI La nostra storia – vita di una leggenda- sulle tracce di un mago

f. Riva San Vitale di Piero Bianconi

L’autore: Piero Bianconi (Minusio, 1 giugno 1899 – Minusio, 5 giugno 1984), docente, scrittore, storico dell’arte.

La biografia:

  • DSS Dizionario storico della Svizzera; OltreconfiniTi

Da sapere sull’autore:

  • In Albero genealogico (1969) ha raccontato la storia dei propri antenati emigranti.
  • Da segnalare lo sguardo attento sul territorio in Occhi sul Ticino (1972).
  • Una raccolta di scritti in P. Bianconi, Antologia di scritti, a cura di R. Martinoni, S. Geiser Foglia, 2001

Il libro: Piero Bianconi, Gente del Mendrisiotto, a cura di Renato Martinoni e Sabina Geiser Foglia, Balerna, Edizioni dell’Ulivo, 2001

Il tema:

  • Album di ricordi e percorso nel Mendrisiotto, dove l’attenzione si focalizza sulla bellezza del territorio e su un’umanità ben diversa da quella delle sue terre di origine. Straodinaria ammirazione della gente del Mendrisiotto, che “va di pari passo con l’amenità dei luoghi”.  (Martinoni, prefazione al volume). La pagina selezionata ha come protagonisti i ciclisti che percorrono chilometri durante i giorni di ferragosto.
La lettura: Il Mendrisiotto I

Placide strade di pianura, tra campi di carlone e di tabacco che inventano fughe prospettiche e conferiscono al paese una profondità e ampiezza maggiori del reale: dove si biforcano s’alzan sulle colonne di pietra le croci delle rogazioni, tonde chiome di gelsi le costeggiano indicandole all’occhio quando son scomparse; vi si incontrano i bovi accoppiati, mansueti testoni ondeggianti che menano a casa la roba dei campi, vi si incrocia l’agile carrettino del gelataio, l’ambulante bottega del mercante di panni e mercerie, il carro del prestinaio.

Strade che si inabissano di botto tra frescure umide di pioppi platani salici e tigli, in forre bagnate appena dall’utile filo d’acqua d’un torrentello; e dopo un breve tratto di verdissima pianura s’impennano coraggiose per vincere un’onda di ronchi e campetti a terrazze, fuori di nuovo nel sole nubiloso e mutevole di mezz’agosto, tra la polvere dell’autocarro che mena giù il rosso dei pomodori e l’odore dolce delle prime uve.

Strade che attaccano la montagna e vanno a trovare i castagni, salgono pazienti tra vigneti e gruppetti di case, così ripide che la salita è stillante di sudore e la discesa arroventa i freni, l’occhio non basta a registrare la cinematografia mutevolissima delle prospettive e delle vedute che s’avvicendano e danno l’idea d’un paese ampio e vario: ma il contadino che tira il fiato all’ombra d’un gelso lo abbraccia tutto con l’occhio amoroso, lì raccolto tranquillo come un nido tra le montagne che salgono a nord verso le miti alture del San Giorgio, la muraglia giallo rosea (come la polpa di certe pesche intrise di sole) listata di verde del Generoso che lo sbarra a levante, e le minime collinette selvose che a mezzogiorno si gonfian quel tanto che basti a nascondere e a svelare il gran respiro della pianura lombarda imminente e fraterna; ma giù tra il Bisbino e le colline di Pedrinate la siepe affonda improvvisa verso il lago di Como che alza il capriccio azzurro delle sue montagnole brasiliane e mammellari.

L’approfondimento:

  • RSI La nostra storia, 25.1 1985 – intervista di Eros Bellinelli in “Radioscuola”
  • RSI Cultura e arte, 19.6.1964
  • RSI La nostra storia, 11.5. 2002 – Bianconi raccontato da Renato Martinoni

g. Riva San Vitale di Franco Beltrametti

L’autore: Franco Beltrametti,  (Locarno 7.10. 1937 – Lugano 26.8. 1995), architetto, artista,  scrittore

La biografia: DSS Dizionario storico della Svizzera; OltreconfiniTi, ASL Archivio svizzero letteratura

Da sapere sull’autore:

  • per la sua attività interdisciplinare è considerato il maggiore autore svizzero della Beat Generation
  • Carte, documenti, libri sono nel lascio Beltrametti presso l’Archivio svizzero di letteratura
  • La sua dimora, dal 1971, a Riva San Vitale, si trova nel nucleo: immagini in espatium.ch.
  • Nel 2002 è stata creata la Fondazione Franco Beltrametti 

Note:

  • Els e Jos Knipscheer, citati nell’indice dei nomi del volume, cfr. fondo Beltrametti in AS
  • Per i luoghi citati nel secondo testo si vedano le arstistichbe carte geografiche nella mostra dedicata a Beltrametti dal Museo d’arte di Mendrisio.

Il libro: Perché a, Venezia, Supernova edizioni, 1995

Il tema: “Impalpabili avventure di parole” (Nanni Balestrini, l’Espresso, Roma. Collage di poesie in forma breve, a partire dalla lettera A.

La lettura

Estate 1978. Una tempesta investì il lago e il paese di Riva. Volarono tegole, camini e insegne commerciali. Tra i cocci rotolava una “A” alta 30 cm. In materiale plastico verde. Diventò la maschera per disegni in matite colorate Giotto. All’inizio del temporale Els e Jos tolsero la tenda da sotto gli ippocastani in fondo al giardino. Poco dopo cadde un enorme ramo

L’approfondimento:

  • poesiadelnostrotempo.it – Beltrametti
  • RSI player La musa leggera, a vent’anni dalla scomparsa di Franco Beltrametti
  • Espatium.ch La corte di Riva. Un inizio. Di Anna Ruschat

Immagini: Franco Beltrametti, Museo d’arte di Mendrisio. Catalogo della mostra monografica.

h. Riva San Vitale di Claudio Origoni

L’autore: Claudio Origoni, 1944-2016, docente di italiano alle scuole medie, è stato anche poeta, scrittore e saggista.

La biografia: SjW Edizioni svizzere per la gioventù

 Da sapere sull’autore:

  • Sul Corriere del Ticino ha tenuto per diversi anni una rubrica dedicata alla lettratura per l’infanzia e per i ragazzi

Il libro: La fedeltà delle stagioni, Balerna, Edizioni Ulivo, 2011

Il tema: Ricordi d’infanzia a Riva San Vitale, quando il borgo era molto abitato e ricco di servizi. Riva si ornava del titolo di “magnifico”.

La lettura: Pesci in frega

Il mio paese, all’età in cui frequentavo la scuola elementare – grosso modo negli anni Cinquanta-, contava 1200 abitanti o poco più, una sessantina di mucche e cinque cavalli; altrettanti i muli, qualche asino e due buoi. Sto parlando di animali a quattro zampe e non a due: in fondo ero asino un po’ anche io, o più spesso “Somaro!” come diceva mia madre quando si arrabbiava.

In paese, a Riva San Vitale, c’erano allora cinque panetterie, tre macellai e sei negozi di generi alimentari compresa la Cooperativa di consumo: la più laica delle dispense pubbliche. In più c’era la merceria delle sorelle Sassi, che credo vendesse anche generi alimentari, l’Angelina e la Lena con la Carmela, che procuravano i milagüst, caramelle di zucchero che, a dispetto del nome, si differenziavano solo per il colore.

Nella merceria delle sorelle Sassi mi avevano mandato certi ragazzi più cresciuti a comperare cinc ghei da müsù pestàa – e se ga la mia che ma la pèsta – cinque centesimi di muso pesateo, e se non ce l’ha che me lo pesti. L’ho fatto una volta, questo gioco. Una e non più d’una, anche perché mi ricordo di aver guadagnato l’uscita volando letteralmente e senza conseguenze dalla porta, che mi pare fosse rialzata rispetto al piano stradale.

Sei erano in paese i calzolai e tre i ciclisti. Poi c’erano tre materassai, altrettanti falegnami e due parrucchieri.

Insomma era un paese che vantava un certo tasso di sviluppo artigianale e diversi sevizi.

La maggior parte della popolazione attiva lavorava in campagna o nelle imprese di costruzioni. Ma per i muratori c’era anche la possibilità di emigrare.

Eano più di una ventina quelli che andavano nella Svizzera interna o all’estero a stagione: uno di questi arrivò persino in Africa, da cui il soprannome di “africano” che gli venne prontamente affibbiato e che si è portato nella tomba.

C’erano naturalmente scuole e chiese. Tre erano le scuole: quella dell’infanzia, l’asilu -dalle parti del San Rocco, gestita dalle Orsoline, l’elementare e la scuola maggiore, che stavano nel Palazzo: insomma, quattro o cinque tra maestri e maestre.

Il sindaco era il Teodoro Vassalli, l’avvocato, e arciprete don Arturo Ferrini, che era succeduto al famoso don Sesti.

Don Ferrini aveva un modo muscoloso di salutarti: di salutare i bambini. Mi ricordo che mi ghermiva per le spalle, mi prendeva la testa e mi dava certi buffetti sulla guancia – così li chiamava lui- che erano vere e proprie sberle, bonarie e naturalmente affettuose, ma molto molto virili.

Temevo d’incontrarlo soprattutto per i suoi impeti affettivi, ma anche perché aveva l’alito cattivo e un po’ acido come ce l’hanno solo i preti e i maestri.

Riva San Vitale, allora, si ornava del titolo di “magnifico”. La cosa aveva origini lontane e risaliva almeno al Settecento ma pare fosse (e sia) predicato illegittimo, che oggi spetta in modo esclusivo solo a Mendrisio, detto appunto “il magnifico borgo”.

L’approfondimento:

  • RSI 2.10.2008 Lttura di Claudio Origoni